I grandi vini rossi non deludono mai
Una delle cose che amo di più è quella di ricercare, scoprire, confrontare, elaborare in un’area di estrema “liberta” senza essere condizionato da schemi molto spesso indossati in modo maldestro. Amo assaggiare vini evoluti e ricchi di sfumature che cambiano, si rincorrono e accarezzano i nostri sensi.
Amo suggerire e ascoltare chi, con me, ha la possibilità di apprezzare le delicate e generose emozioni che tramettono questi sontuosi vini, pezzi di storia e di tradizioni che si sono affinati nel tempo. Un momento di ricerca, di piacere e di conoscenza che mi danno molto. Certo, frequento degustazioni in anteprima di prodotti nervosi e sguscianti figli prematuri di richieste di mercato, ma la crescita e il piacere che mi trasmettono vini come quelli che abbiamo avuto la fortuna di poter assaporare venerdi scorso (17 maggio) è l’apoteosi del piacere di amare il vino senza vocaboli scanditi da logiche preelaborate.
Primo vino Vigna l’Apparita Castello di Ama 1988, in perfette condizioni aperto poco tempo prima di essere degustato, ha manifestato caratteri di giovinezza strabilianti. Difficilmente vini blasonati di questo periodo e di questa annata, se ben conservati, non hanno manifestato questa caratteristica.
Un naso complesso che affascina, non esiste nessuna fragranza che sconfina, il tempo ha equilibrato sapientemente tutte le componenti aromatiche: mora, cassis, crem caramel, cioccolato, caffe, noce moscata, ……..un continuo divenire sempre più elegante e ricco. Incredibile è anche al palato, le sensazioni appaiano levigate dal tempo, in un lavoro paziente di cesellatura per far ritrovare il punto massimo dove tutto si definisce perfettamente. In alcuni momenti cambi visione e percepisci un tutt’uno perfettamente accordato. Queste emozioni vorrei che non finissero mai, invece, come tutte le cose belle, finiscono forse un po’ prima del lecito.
[ngg_images source=”galleries” container_ids=”45″ display_type=”photocrati-nextgen_basic_thumbnails” override_thumbnail_settings=”1″ thumbnail_width=”240″ thumbnail_height=”160″ thumbnail_crop=”1″ images_per_page=”20″ number_of_columns=”3″ ajax_pagination=”0″ show_all_in_lightbox=”0″ use_imagebrowser_effect=”0″ show_slideshow_link=”0″ slideshow_link_text=”[Mostra slideshow]” order_by=”sortorder” order_direction=”ASC” returns=”included” maximum_entity_count=”500″]Secondo vino Barbaresco Rabaja Vietti 1988, aperto un paio di ore prima messo nel decanter per accelerare l’ossigenazione, contributo essenziale per destarlo dal suo lungo torpore.
Un naso più sobrio, non internazionale, legato a note pre-internazionalizzazione gustativa, concedetemi questo termine. Frutti di bosco, prugna leggermente passita, funghi, liquerizia, vaniglia e fieno sono le note che mi hanno maggiormente colpito. Al palato rivendica il proprio blasone di grande vino sorretto da tannini che con il tempo si sono “educati” i quali forniscono oltre che un struttura, un substrato gustativo concreto e particolare del quale ne gioisce tutto il vino. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio. E’ una sensazione di presenza continua e prolungata, che non presenta picchi sgradevoli, che fornisce la spina dorsale del gusto del vino. Una particolare sensazione che solo le nobili sostanze tanniche affinate dal tempo possono ridare.
Terzo vino Barolo Briacca Vietti 1970, quando si degustano questi vini ci si domanda sempre quando aprirli. Si sceglie sempre un compromesso ma, se non si ha perlomeno un magnum, diventa difficile seguire il suo percorso di evoluzione in presenza di ossigeno.
Nonostante ciò, al naso presentava note incredibili, tartufo, menta, rosa passita, prugna, caffè il tutto con un tono di voce educato, leggero, quasi sussurrato.
Il colore aveva note di aranciato che metteva in evidenza la sua età, ma al palato era “rosolio”. Come dicevo precedentemente i tannini si sono complessati ridandoci un’insospettabile morbidezza che fornisce una lunghezza gustativa notevole senza asperità o cedimenti, sorretta da una componente acidica di tutto rispetto.
Avrei voluto avere modo di passare la nottata seguendo le evoluzioni di questo mirabile vino, ma purtroppo è finito troppo presto.
Un’esperienza indimenticabile, un’atmosfera indescrivibile, un’attesa impaziente e nervosa per scoprire se le nostre esperienze precedenti potevano avere un paragone e trovare riscontro con questa nuova emozione.
Un modo di degustare controcorrente che mette l’uomo, la natura e il tempo al centro della nostra attenzione per ritrovare quel collegamento con il passato che spesso nostalgicamente cerchiamo, una filosofia di vita, un modo di godere di ciò che ci circonda che spesso non riusciamo a cogliere perché siamo già coinvolti in un’altra esperienza, un modo per ritrovare l’arte della memoria.
1 commento
claudio · 15 Giugno 2013 alle 14:20
porca miseria, io ero gia da 45 giorni in Thailandia. Come dice il detto non si può avere la mogliè ubriaca e la botte piena